Yes! Yes! Yes! E non è un gruppo rock!

Era un un po’ strano, ma lo dissi volentieri. I strani contavano ancora, a qualsiasi livello.

Perchè, in effetti, ci sono diversi livelli di . E se, come sospetto, avete comprato questo libro pensando che fosse un manuale basilare di self-help, probabilmente è bene che prendiate nota di quanto segue.

I CINQUE LIVELLI DEL SI

Livello Uno. Il più facile. E’ quando si risponde a domande tipo “Ti piacerebbe avere qualche soldo in più?”, “Ci facciamo il bicchiere della staffa?”, “Ti piacerebbe vedere la foto di un pony?”, “Perchè non ti prendi una mezza giornata libera?”

Livello Due. Semi-facile. Il Livello Due è solo un briciolo più impegnativo. E’ dire dando l’impressione di essere contenti. Dire “, certo, stasera ti registro quella cosa sulla BBC2″, “, certo, ti preparo il caffè, e neppure mi aspetto che tu un giorno contraccambi”.

Livello tre. Livello di un certo impegno. Al Tre le cose si fanno più difficili. Ma non tanto da indurti a protestare: questo è il bello. E’ dire alla festa a cui in realtà non hai veramente voglia di partecipare, e presentarti davvero. E’ dire a un aperitivo dopo il lavoro, quando in realtà vorresti guardare la tua soap preferita e mangiarti un samosa pachistano. E’ dire a qualsiasi cosa che richieda uno spostamento di oltre quaranta minuti, con almeno un cambio d’autobus. E’ accettare di accompagnare al bagno una zia anziana e non scappare quando lei urla “Finito!”.

Livello Quattro. Livello di grande impegno. Ah, il Quattro è il nemico di sempre. E’ accettare di partecipare ad un battesimo… qualsiasi battesimo! Dire a tutto quello che abbia a che fare con la danza moderna o con il doversi portare le proprie tartine. E’ dire a qualcosa che prevedete imbarazzante, è dire quando in realtà vorreste sputare un secco no

Livello Cinque. Quello del “lasciamo perdere!”. La maggior parte di noi non raggiunge mai il Livello Cinque. E’ accettare un invito ad un matrimonio, in Mozambico. O a una festa tremenda dall’altra parte della città, dove sai di non essere gradito, perchè l’ultima volta che ci sei andato hai offeso la moglie di qualcuno e hai vomitato sulle scarpe del padrone di casa. In più la festa è in maschera. E ci sarà anche lei, quella che non vuoi vedere. Oppure dire a tutto ciò che implica aerei. Tutto ciò che implica dolore. Tutto ciò a cui non puoi, non vuoi, non devi assolutamente dire di . Questo, amici miei, è il livello Cinque.

Danny Wallace – Yes Man

Tutti conoscono la storia del film e il relativo libro “Yes Man”: il protagonista decide di cambiare mentalità e sperimentare il potere del SI, rispondendo affermativamente a tutto ciò che gli viene offerto.

La storia lo infila in situazioni assurde e spesso surreali, a volte persino “indesiderabili”, ma gli insegna il potere dell’apertura mentale e del fascino di aspettare a vedere cosa la vita ci pùo riservare.

Aldilà del film divertente e della storia godibile, aldilà degli eccessi che una scommessa del tipo “Dirò sempre a qualsiasi proposta” può portare e senza considerare l’opera in sè degna di un maestro taoista, ma come semplice spunto, a mio avviso la vicenda ci fa pensare un pochino.

Si tratta del più ampio concetto di apertura mentale o di una delle molte sfaccettature della parola “assertività“, una malattia tipica di quelle persone che spesso ammiriamo in quanto “a loro accadono solo cose belle“, i classici fortunati, che sappiamo ben contrapporre agli sfigati, a cui la vita sembra preparare solo sfortune su sfortune.

Provate a pensare al vostro passato. Pensate a tutte le grandi occasioni che avete perso e che rimpiangete. Non sono forse frutto di un “no“? E quali erano le cause di quei no? Ce ne possono essere di due tipi: necessarie e superflue. Le prime purtroppo erano legate a vincoli indissolubili, all’effettiva impossibilità di dire si, per intenderci un livello 6! Le seconde erano per mancanza di voglia, per mancanza di interesse, per pigrizia e simili.

Ecco, tutto il libro è incentrato quasi esclusivamente sul secondo meccanismo: quelle volte in cui preferiamo dire di no perchè abbiamo un’opzione più desiderabile ai nostri occhi, ma solo perchè conosciuta, sicura, garantita. L’esempio è quello del telefilm preferito, di una serata abitudinaria (il grande fratello e porcherie simili, ad esempio!).

Ogni volta che diciamo un no dettato da meccanismi tristi di questo tipo, dovremmo fermarci e provare a dire si. Magari, per sbaglio, scopriamo che nella vita, c’è sempre qualcosa di meglio che ci aspetta!

E voi, a cosa state per dire sì?

3 Commenti

  1. Una breve nota al tuo stimolante post: riflettevo sulla carica di significati racchiusi in queste due parole e di come tali significati siano acquisiti precocemente (il no oppositivo dei bambini è già un’espressione di autonomia, una forma di ribellione all’autorità dei genitori).

    La pianificazione o l’improvvisazione di una scelta si sintetizza tutta in un sì o un no. Un concentrato di pensieri, valutazioni, comportamenti che esprime una decisione attraverso una singola parola (questo, almeno nel pensiero occidentale).

    Dare movimento alle circostanze con un sì o disattivarle con un no apre possibilità diverse e non sempre controllabili, ci sono sempre delle variabili impreviste.
    E poi c’è il contesto, sociale, relazionale, culturale con i suoi delicati equilibri. E il contesto interiore, la propria coscienza.

    Tutto nel valore semantico di due parole…
    Personalmente, a volte non riesco a superare neppure il livello due…

  2. Mentre scrivevo il post pensavo qualcosa di analogo: non tutti i SI aprono porte e non tutti i NO le chiudono.
    Ad esempio, recentemente un progetto che inizialmente sembrava promettere ottimi risultati è andato a monte, con un mio secco NO, sofferto e meditato. Ma quel NO ha aperto mille altre strade, trasformandosi in un … SI a tutto i lresto. 🙂
    Quello che conserverei però è il continuo tentativo di superare la pigrizia, la naturale resistenza al cambiamento e la difesa dal nuovo, neanche fosse un pericolo!
    Che ne dici?

  3. A volte si preferisce una rassicurante routine all’incertezza del cambiamento e modificare schemi mentali, atteggiamenti e abitudini non sempre è facile. Certo dipende dal temperamento personale e la curiosità verso il nuovo diventa comunque uno stimolo per progredire, per migliorarsi.

    Penso anche che all’interno delle nostre scelte (determinate da un Si o da un No, anche nell’ipotesi che le aspettative siano imprevedibili) alla fine conta la nostra flessibilità di adattamento a nuove situazioni e la capacità di adattare il nuovo contesto alle nostre esigenze, plasmando gli eventi (almeno quelli che è possibile plasmare).

    Personalmente sono di una pigrizia esasperante quando so che il cedere a un determinato Sì , eroderebbe tempo prezioso per i miei spazi e a volte persino gli eventi positivi, per sfinimento, sono costretti a cercarmi!!

    Ma se c’è motivazione a qualcosa, niente mi trattiene…
    Mi viene in mente Ulisse, chi meglio di questa figura riesce a rendere la spinta dell’uomo verso ciò che è nuovo, ignoto, sconosciuto?

    Come vedi il discorso tende molto a amplificarsi…